mercoledì 22 dicembre 2010

INTERVENTO ASSEMBLEA PUBBLICA PRESENTAZIONE DEL COMITATO PER LA DIFESA DEL TERRITORIO DI TRECASALI


PREAMBOLO

Care concittadine, cari concittadini,
innanzitutto vi ringrazio per la vs. presenza, qui alla nostra assemblea. Grazie della sensibilità che dimostrate, in una settimana che di solito tutti impieghiamo a preparare i cappelletti e non a discutere dei problemi del nostro paese.
Il nostro paese, il nostro territorio ha vissuto negli anni un legame strettissimo con la fabbrica. Tutto il paese, le sue strutture, l’insieme degli accenti degli abitanti, sono la testimonianza dello stringente legame con lo zuccherificio. Quasi tutti noi abbiamo gravitato, anche se sporadicamente, attorno alla fabbrica. Il nostro paese è l’esempio di un territorio cresciuto e sviluppato attorno ad una attività produttiva, come Felegara con la Cambell’s, Collecchio con la Parmalat.
Proprio dietro a questa sala si trova il quartiere che fu il quartiere operaio della fabbrica.
È innegabile che attorno alla presenza dello zuccherificio si è sviluppato il nostro territorio, è cresciuto con un patto sociale non scritto, in cui l’impresa dava al territorio e riceveva dallo stesso con un principio di equilibrio e di crescita complessiva. Un indotto composto da piccole imprese, agricole ed artigiane, che ruotavano attorno all’universo zuccherificio e che ridistribuivano ulteriore ricchezza nel territorio. Due economie, quella diretta fatta dai lavoratori dello stabilimento e quella indiretta, fatta da una rete di imprese locali e dai benefici commerciali dei nostri esercizi.
Oggi, però, quell’equilibrio che dicevo poc’anzi, è messo in discussione; anzi è già da tempo che viene messo in discussione. Oggi, anche in ragione del naturale sviluppo autonomo del nostro territorio comunale, non possiamo dire che abbiamo una intera popolazione che gravita attorno allo zuccherificio, anzi ormai possiamo dire che finalmente il paese si è emancipato, è cresciuto ed è nella condizione di considerare e trattare la grande fabbrica al pari di un qualsiasi insediamento produttivo.

1-ULTRALIBERISMO FINANANZIATO CON CONTRIBUTI PUBBLICI

Viviamo, da anni, in balia delle sorti del settore bietocolo-saccarifero, sono anni che si rincorrono le voci che la prossima sarebbe l’ultima campagna saccarifera e che poi lo zuccherificio chiuderebbe. Tutte voci sempre smentite dai fatti, dalla realtà. Questo significa che siamo di fronte ad un settore economico forte? Tutt’altro! È vero che negli anni il settore ha vissuto momenti difficili ed in particolare abbiamo visto lo stabilimento dell’Eridania di San Quirico cambiare proprietà diverse volte. Tanti gruppi industriali.
L’imprenditoria italiana è nota per non avere particolari capacità e spesso basa le proprie politiche industriali sull’uso dei contributi pubblici. Lo abbiamo visto con le forme diverse di incentivazione che sono state date per l’acquisto di autoveicoli, elettrodomestici e altri beni di consumo. Lo vediamo costantemente con l’uso, a volte smisurato ed ingiustificato, degli amortizzatori sociali, lo vediamo con il costante ricatto che l’impenditoria italiana, capitanata dal modello Marchionne, che pretende liberismo quando si tratta di licenziare, ed è profondamente statalista quando pretende di ricevere contributi pubblici.
Quello che viviamo a Trecasali non è differente da ciò che succede nel nostro paese, da quello che leggiamo sui giornali, anche SADAM basa la propria politica industriale sulla massimizzazione dei contributi pubblici.
Si dice che con le direttive europee il settore è stato messo in forte difficoltà, vero e che il sostegno al settore, che è dirimente per la tenuta di tutta la filiera. Per queste motivazioni abbiamo assistito nei giorni scorsi alla deliberazione della conferenza interministeriale per la programmazione economica di un contributo al settore di 86 milioni di euro, milioni necessari a mantenere stabile il settore e non aggiungere emergenza sociale ad un paese che fatica ad uscire dalla crisi economica e i cui danni su masse di popolazione richiederanno molto tempo per essere assorbiti completamente. A fronte di questi finanziamenti, però, si sta chiedendo di avviare attività collaterali e complementari che nell’idea della proprietà di Eridania, darebbe stabilità al settore e, anzi, sviluppo economico e occupazionale: parliamo della centrale a biomassa.


2- IL RICATTO

Il metodo con cui, questi signori, pongono il tema della necessità, tutta loro, di costruire questa centrale, si basa su un ricatto che non è neanche tanto velato. L’abbiamo sentito in questa stanza. “SE COSTRUIAMO LA CENTRALE GARANTIAMO IL PROSEGUIMENTO DELLA PRODUZIONE E LA CREAZIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO STIMATI IN CIRCA DUECENTO UNITA’, DIVERSAMENTE NON SIAMO IN GRADO DI GARANTIRE IL FUTURO DELLO STABILIMENTO”.
Primo: ci si chiede di fare un sacrificio per salvaguardare i lavoratori, altrimenti loro non possono più garantire la loro occupazione, ma quando, questi signori, hanno messo i lavoratori in cassa integrazione, quando hanno cambiato cooperative di facchinaggio, quando hanno sostituito le imprese locali che lavoravano per loro, quando hanno licenziato dei lavoratori hanno chiesto il permesso? Ne hanno mai parlato con le istituzioni? Hanno mai avuto la preoccupazione per i propri lavoratori anche di fronte agli incidenti che hanno avuto pesanti conseguenze invalidanti per un ragazzo la scorsa estate?
Mi sembra che non siano nella condizione di praticare queste forme di ricatto; non sono, eticamente, nella posizione per potersi comportare in siffatto modo.; Se invito qualcuno a casa mia, ed il Comune è la casa di tutti noi, e questi vuole fare il padrone a casa mia ricattando e dettando regole proprie, il minimo che posso fare è cacciarlo di casa a pedate in culo ed invitarlo a ripresentarsi quando riconsidererà i propri modi.
Anche perché le esperienze di ciò che avviene altrove deve servirci e laddove si stanno facendo operazioni simili è chiaro che le volontà sono altre: cambiare il l’obiettivo produttivo delle aziende per fare altro, nel nostro caso utilizzare il ricatto dello stabilimento per fare la centrale, che è il vero business- due miliardi di euro di contributi pubblici in 15 anni- poi lo stabilimento, a risultato incassato, da loro, da SADAM, non servirà più sarà solo un peso da liberarsi il prima possibile.


3- SAVALGUARDARE IL SETTORE PER SALVAGUARDARE IL LAVORO


Lo stabilimento di San Quirico è patrimonio di tutto il territorio, di tutti noi. Non è questione privata. È anche nostro perché viviamo il nostro territorio e tanti di noi ne hanno e ne hanno avuto a che fare. Oggi tutti noi dobbiamo essere sensibili alla tutela e alla salvaguardia del settore bieticolo-saccarifero, ed il modo migliore per difendere la presenza della fabbrica passa attraverso la tutela del nostro territorio. Passa attraverso questo elemento perché la coltura della barbabietola e della sua trasformazione che si tutela il settore, non attraverso la coltivazione di altri prodotti destinati all’incenerimento. È banale come discorso ma a volte le verità solo gli elementi più ovvi. È questo che mi aspetto anche dalle organizzazioni sindacali e delle categorie di agricoltori. Oggi dobbiamo rilanciare e preservare la filiera, sostenendola da un punto di vista economico affinché gli agricoltori siano nella condizione di produrre la materia prima da trasformare. Quello che ci aspettiamo dalla politica sono iniziative tangibili volte a rafforzare il settore, la politica, il Governo nazionale in primis, non può scaricare le proprie responsabilità sui cittadini che si trovano di fronte al terribile dilemma di preservare il territorio o il lavoro. Oggi, con questa politica delle iniziative industriali collaterali, aumentano gli appetiti di imprenditori spregiudicati che con proposte bizzarre, che nulla hanno a che vedere con la vocazione industriale delle loro imprese, fanno accettare a comunità il tutto ed il contrario di tutto con lo spirito di evitare una crisi occupazionale; poi, una volta centrato il loro obiettivo di costruire la centrale a biomassa, il mantenimento della unità produttiva dello zucchero potrebbe essere solo un peso da liberarsi.



Noi, con questo comitato, vogliamo evitare questi disastrosi scenari sociali.



lunedì 29 novembre 2010

Ambiente e sviluppo.


E’ estremamente complicato provare a fare delle riflessioni su un tema che già nel titolo rischia di essere, quantomeno nella opinione comune, una dicotomia.
Si dice spesso che la preservazione dell’ambiente non si concili con una idea di sviluppo e che è nello sviluppo che si insidiano proprio gli elementi peggiori di sfruttamento del territorio. Da questo assunto sono emersi movimenti che hanno “zero” come suffisso all’obiettivo che vogliono raggiungere: “Rifiuti Zero”, “crescita zero” …
Sono giuste queste teorizzazioni?
A mio avviso il sentimento che si cela dietro quei movimenti risponde a elementi positivi di partecipazione e volontà di protagonismo di grossi strati di popolazione, però trovo che dietro la teorizzazione dello “zero”, a mio avviso, vi sono forti limiti di visione che limitano la proiezione della dimensione di massa di un movimento per il territorio.

Da anni si insegue quello che viene definito “sviluppo compatibile”. In cosa consisterebbe?
Di fatto questo concetto vorrebbe permettere uno sviluppo che non comprometta la vivibilità delle generazioni future, mantenendo un equilibri di sviluppo economico-industriale con un regime di equilibrio ambientale.
Si è cominciato a coniare questo termine negli anni ’80 del secolo scorso, anche in risposta ad una accelerazione della modernizzazione sfrenata che stava pregiudicando irreversibilmente l’ecosistema. Ricordiamo il tema del buco nella fascia d’ozono e il fenomeno delle piogge acide?
Col tempo, in particolare dopo la conferenza ambientale di Davor, si è convenzionalmente definito conclusa la fase dello sviluppo compatibile in quanto non praticabile. Si ritiene che la crescita, in quanto tale, determini sfruttamento dell’ambiente e conseguente disequilibrio, da cui il nuovo concetto di “decrescita”.
Credo sia centrale porre il tema del progresso e dell’utilizzo dei beni comuni nel rapporto di una giusta qualità di vita, oggi è tutto in termine consumistico e merceficatorio.
Lo sfruttamento dell’ambiente c’è da quando c’è il mondo; e i livelli di inquinamento è sempre stato proporzionale alla qualità della vita e questo è stato fino all’industrializzazione e al capitalismo sfrenato. Da l’XIX secolo l’equilibrio che reggeva sul binomio qualità/sfruttamento ambientale, si è rotto per una contraddizione palese che è quella del capitale-ambiente.
L’economia ha necessità di utilizzare il pianeta e le sue risorse in modo maggiore di quanto serva, questo solo per l’accumulo di ricchezze e per fini meramente economici.
Oggi è centrale porre il tema delle pianificazioni, stabilire strumenti che diano indicatori sul livello di vita e di progresso che si vuole ottenere e non abusare ulteriormente, oltre quel fine, del nostro ecosistema.
Provo a spiegarmi.
Un mondo senza inquinamento è un mondo morto. Su Marte non c’è inquinamento, in quanto non c’è vita e pertanto nessuno utilizza quell’ambiente per vivere e progredire. Sulla terra l’inquinamento c’era anche 2000 anni fa ma era direttamente proporzionale alle aspettative di vita e di qualità delle popolazioni che la vivevano. Oggi sul nostro pianeta, nonostante 2/3 del pianeta soffra la fame, non sia industrializzato e non abbia minime condizioni di vita accettabili, abbiamo compromesso equilibri e beni comuni.
Pensare alla decrescita sarebbe solo utopistico e anche, passatemelo, sbagliato; se oggi abbiamo lunghe aspettative di vita lo dobbiamo al progresso e alla ricerca di miglioramento della qualità di vita. L’unico modo per rompere questo meccanismo perverso sarebbe quello di vivere secondo i nostri bisogni, le nostre necessità. Se utilizzassimo le risorse e l’ambiente secondo un modello di vita non teso all’accumulo di ricchezza e di produzione, troveremmo il giusto equilibrio per vivere in pace e bene nella nostra terra e allora ogni intervento sarebbe realizzato, non con lo scopo di massimizzare resa e profitti, ma solo per una reale necessità.

La presentazione effettuata a Trecasali per la realizzazione di una centrale a biomassa da 60 Mw termici, mi induce a fare alcune riflessioni, anche a seguito della presentazione stessa e del dibattito che ne è scaturito.

A Trecasali, così come sta avvenendo in molti comuni del parmense e probabilmente in tutta Italia, una società, la Seco, di cui la proprietà di Eridania è azionista, sta facendo richiesta per realizzare una centrale elettrica a biomassa. Le motivazioni della necessità di questo impianto,enunciateci dai vertici aziendali, sono squisitamente di carattere economico e ci mancherebbe che non fosse così, considerato che una società privata pone l'obiettivo del guadagno per la realizzazione di un impianto di questa tipologia. La presentazione, condita sapientemente da elementi autocelebrativi sulle competenze acquisite in materia, sulla serietà aziendale e sulla eccellenza delle tecnologie, avevano, a mio avviso, elementi di debolezza nella presentazione che, a motivazione dei presentatori, erano dati dalla natura troppo preventiva della presentazione; come se tutti pensassero che un investimento economico di quella portata non sia suffragato da uno studio approfondito di fattibilità.

A noi cittadini non è stato fornito un dato sulle preoccupazioni e tensioni che la popolazione ha espresso nella articolazione del dibattito e non è assolutamente rassicurante enfatizzare le conoscenze acquisite come elemento qualificante, anzi sembra quasi voler nascondere delle verità dietro un mignolino.

Quello che ci si aspetta da una impresa seria sono risposte ai dubbi e alle tensione che una comunità legittimamente esprime; domande banali a cui non si udita risposta.

1 che beneficio ha il cittadino di Trecasali a fronte di un intervento così impattante?

2 essendoci molte richieste, quasi una per Comune, di queste tipologie di impianto e ognuna con un fabbisogno simile dello stesso combustibile a biomassa (legno), come pensano di garantirne l'approvvigionamento?

3 ipotizzando che la biomassa sarà trasportata per mobilità su gomma (a Trecasali non c'è ferrovia), è stato valutato l'impatto ambientale dell'aumento considerevole dei carichi di traffico?

4 i maggiori costi di manutenzione stradale determinati dall'aumento dello stress della rete viaria verrà sostenuto interamente dall'azienda, oppure pagheranno i cittadini?

5 le ceneri prodotte dal forno come e dove saranno smaltite? In quale sito?

Eridania, con il suo stabilimento di San Quirico, ha indubbiamente creato un beneficio sociale alla comunità trecasalese, nessuno lo mette in dubbio; è altrettanto vero, però, che il territorio ed i cittadini di Trecasali hanno creato benefici enormi alla azienda. Vi è un rapporto paritario in cui hanno dato e hanno preso, tanto. Chi abita a Trecasali conosce bene l'impatto della campagna saccarifera: traffico pesante, aria maleodorante, abbassamento della falda acquifera con la quasi impossibilità di utilizzare i pozzi privati delle abitazioni, impatto acustico, i mezzi pesanti che sporcano la viabilità determinando tutti gli anni dei sinistri stradali che mettendo a repentaglio l'incolumità dei cittadini; e la lista potrebbe proseguire. Credo che oggi i cittadini debbano essere liberi da ogni obbligo reverenziale verso l'azienda, per la scelta che l'amministrazione deve compiere e non è una scelta di poco conto.

Il nostro territorio è già pesantemente compromesso e i dati della qualità dell'aria, che si possono apprendere da ARPA, dimostrano che la vita in campagna (a Trecasali) non è più salubre che in città. Gli equilibri sono già minati e l'ambiente, che è un bene comune di tutti, una volta compromesso, diventa difficile recuperare la situazione e risanarlo.

Il nostro territorio è, tra l'altro, fonte di produzioni di eccellenza. Salumi, il Parmigiano-reggiano, la produzione agricola in genere; e bene ha fatto la Provincia di Parma per valorizzare e sostenere l'economia agricola del nostro territorio ma vano è lo sforzo, ed il Vice Presidente Ferrari sa quanto è difficile aiutare il mondo agricolo, per sostenere e potenziare sacche di economia sostenibile, come è quella agricola, se poi nei territori spuntano iniziative private impattanti come funghi.

Eridania utilizza come argomento che la realizzazione di questo impianto garantirà i livelli occupazionali anche per il futuro. Detta così sembra un argomento forte su cui difficilmente si può non essere d'accordo, ma che detto al contrario, ovvero i livelli occupazionali sono garantiti solo dalla realizzazione della centrale, suona come una minaccia che condiziona e falsa il merito del dibattito. Aspettavo che su questo le organizzazioni sindacali si esprimessero e che scindessero in modo inequivocabile due temi che non sono contrastanti: la difesa occupazionale e la difesa ambientale, anche perché se passasse la teoria che per creare posti di lavoro va bene tutto, finirebbe come in Ungheria, dove la produzione a tutti i costi ha devastato l'ecosistema del Danubio.

Questi temi sono centrali nella vita della nostra comunità e capisco il peso della responsabilità che attraversa la coscienza degli amministratori comunali, per questo credo che debbano avere la certezza di avere a fianco i cittadini in questa fase, conoscere perfettamente la volontà di chi li ha delegati ad amministrare, non con il mandato di autorizzare una centrale a biomassa, visto che non era materia di programma elettorale. Che si indica un referendum e decidano i trecasalesi, che sono i veri proprietari della realtà in cui vivono. Quale sia l'orientamento che emergerà, l'amministrazione sarà più forte nell'attuare le scelte che deve fare perché avrà la forza di una intera comunità che è e sarà protagonista ed artefice del proprio destino; per evitare gli errori che si sono compiuti in altri territorio e che hanno portato alla rottura tra cittadini e politica.