sabato 30 giugno 2012

Riapartiamo dal lavoro!


Oggi il PD di Parma apre una fase nuova. Nel bene o nel male una fase si chiude, nel piccolo è come il cubano ritiro di Fidel, per fare posto al “fratellino” Raul. 
Oggi l’assemblea del PD di Parma elegge Diego Rossi segretario. Io ho firmato la sua candidatura, non senza riserve e non senza spunti di dissenso, sia nel metodo con cui si è arrivati a quella candidatura, sia per le linee programmatiche da lui illustrate. Ma oggi è centrale superare differenze per rilanciare l'iniziativa politica del PD, per farlo uscire dalla sbornia liberista.
Ho condiviso, nella relazione di Diego, l’impronta  organizzativa che vuole imprimere al suo segretariato, ma non è sufficiente. Un gruppo dirigente, se non sostanziato da una architrave politica, risulta essere solo uno strumento autoreferenziale, un corpo estraneo alla società.
Ripartiamo dal lavoro!
La crisi economica che ormai si protrae da quattro anni e che ora si mostra quotidianamente nella sua drammaticità con lavoratori ridotti a nuovi poveri, imprenditori stretti nella morsa dei debiti che scelgono l'autoeutanasia perché non vedono risposte ai loro problemi. 
Ci contano che l'inflazione è al 3% ma sappiamo essere enormemente maggiore: prezzi fuori controllo e salari che diminuiscono. 
Se il PD vuole ricostruire fiducia nella società, essere strumento utile per masse impoverite da questo contesto, deve essere il Partito del Lavoro, e partiamo da qui, da Parma. 
E' evidente come sia, sul piano politico, esaurito il compito di Monti, esaurito in quanto ha fallito sull'aspetto della crescita. Il Paese, forse, uscirà dal pericolo del default, ma a quale prezzo? e soprattutto  chi è che ha pagato maggiormente questo prezzo? I lavoratori. 
Crisi economica che diventa crisi sociale che ora rischia di alimentare tensioni sociali e noi stessi rischiamo di esserne travolti, e i segnali sono tutti lì, a monito, e Parma ne è la prova. 
Oggi sarebbe bene assumersi una responsabilità: andare a votare e subito! e conseguente andare a Congresso e definire la migliore linea per questa fase, quella che decideranno i nostri iscritti. 
Così potremmo, forse, dire: "Signore e signori, in piedi. Entra il Lavoro".

Filippo.

domenica 17 giugno 2012

E' Primavera...

primavera in pianura di agnese52 http://www.fotocommunity.it/pc/pc/display/24409483

Ieri c'è stata l'assemblea provinciale del PD. 

Credo che il passaggio sia centrale, da qui può partire un vero e genuino rilancio del Partito Democratico di Parma, dando un segno differente, un laboratorio di idee e pratiche che possono essere la base per un nuovo PD, modello anche sul piano nazionale. 
Sono intervenuto e ho detto la mia, è un mio vizio. Ho detto la mia in modo franco, come sempre, e sono consapevole che la franchezza spesso non sia condivisa, spesso in politica. 

Ho criticato il metodo con cui è stato proposto Diego Rossi. Lui sa come la penso, prima di dirlo in assemblea l'ho detto a lui, di persona. Contano prima i rapporti umani, che hanno valore se basati su l' onestà, almeno quella intellettuale. Credo che Diego sia una bella figura del PD. Una persona, un compagno, che ha saputo disarticolare vecchie ed imposizioni di "nomenklatura", che volevano altro per il suo Comune. Borgotaro siamo anche noi, quanto avvenuto lì è patrimonio di tutti coloro che voglio un modo diverso di approccio alla politica, dove la gente, i propri bisogni e le proprie decisioni sono motore per la politica partecipata, quella per e delle persone. E' qui che avviene il pasticcio, a mio avviso. Diego è stato proposto in modalità forzose, prima dell'assemblea che definiva percorsi politici, che dava indirizzi a tutti noi. La proposta di Diego, di cui lui credo sia vittima, è nata nel modo più vecchio, nella tradizione dell'ortodossia novecentesca della politica. Nuove le facce ed i nomi dei proponenti, vecchi i metodi. E' la rappresentazione di quanto mi preoccupa: orchestre diverse che suonano stesse musiche. 
Partiamo dal lavoro. Partiamo dalla gente a cui dobbiamo restituire fiducia, entusiasmo e fiducia. Partiamo dai bisogni della gente, se partiamo da questo verrà naturale trovare il nostro garante, per tutti. Per bersaniani, per franceschiniani, per tutti gli iani che abbiamo... e anche per chi come me è mosca bianca in un Partito, con idee singolari, forse, ma che sono quello che la gente del bar e delle piazze discute, più che allargamenti al centro e politicismi.
Questo mio pensare ha disturbato qualcuno? può essere, poco importa. Importa che si rompa il meccanismo che allontana il partito dalla gente, non vorrei scoprir che mi trovo di nuovo tra onanisti della politica, di diversa natura, ma sempre tali.

Filippo.

ah per chi fosse interessato al documento dei circoli, lo chiamo così perché è l'unico elaborato da circoli, o a informazioni può contattarmi pure. fillored@gmail.com

mercoledì 22 dicembre 2010

INTERVENTO ASSEMBLEA PUBBLICA PRESENTAZIONE DEL COMITATO PER LA DIFESA DEL TERRITORIO DI TRECASALI


PREAMBOLO

Care concittadine, cari concittadini,
innanzitutto vi ringrazio per la vs. presenza, qui alla nostra assemblea. Grazie della sensibilità che dimostrate, in una settimana che di solito tutti impieghiamo a preparare i cappelletti e non a discutere dei problemi del nostro paese.
Il nostro paese, il nostro territorio ha vissuto negli anni un legame strettissimo con la fabbrica. Tutto il paese, le sue strutture, l’insieme degli accenti degli abitanti, sono la testimonianza dello stringente legame con lo zuccherificio. Quasi tutti noi abbiamo gravitato, anche se sporadicamente, attorno alla fabbrica. Il nostro paese è l’esempio di un territorio cresciuto e sviluppato attorno ad una attività produttiva, come Felegara con la Cambell’s, Collecchio con la Parmalat.
Proprio dietro a questa sala si trova il quartiere che fu il quartiere operaio della fabbrica.
È innegabile che attorno alla presenza dello zuccherificio si è sviluppato il nostro territorio, è cresciuto con un patto sociale non scritto, in cui l’impresa dava al territorio e riceveva dallo stesso con un principio di equilibrio e di crescita complessiva. Un indotto composto da piccole imprese, agricole ed artigiane, che ruotavano attorno all’universo zuccherificio e che ridistribuivano ulteriore ricchezza nel territorio. Due economie, quella diretta fatta dai lavoratori dello stabilimento e quella indiretta, fatta da una rete di imprese locali e dai benefici commerciali dei nostri esercizi.
Oggi, però, quell’equilibrio che dicevo poc’anzi, è messo in discussione; anzi è già da tempo che viene messo in discussione. Oggi, anche in ragione del naturale sviluppo autonomo del nostro territorio comunale, non possiamo dire che abbiamo una intera popolazione che gravita attorno allo zuccherificio, anzi ormai possiamo dire che finalmente il paese si è emancipato, è cresciuto ed è nella condizione di considerare e trattare la grande fabbrica al pari di un qualsiasi insediamento produttivo.

1-ULTRALIBERISMO FINANANZIATO CON CONTRIBUTI PUBBLICI

Viviamo, da anni, in balia delle sorti del settore bietocolo-saccarifero, sono anni che si rincorrono le voci che la prossima sarebbe l’ultima campagna saccarifera e che poi lo zuccherificio chiuderebbe. Tutte voci sempre smentite dai fatti, dalla realtà. Questo significa che siamo di fronte ad un settore economico forte? Tutt’altro! È vero che negli anni il settore ha vissuto momenti difficili ed in particolare abbiamo visto lo stabilimento dell’Eridania di San Quirico cambiare proprietà diverse volte. Tanti gruppi industriali.
L’imprenditoria italiana è nota per non avere particolari capacità e spesso basa le proprie politiche industriali sull’uso dei contributi pubblici. Lo abbiamo visto con le forme diverse di incentivazione che sono state date per l’acquisto di autoveicoli, elettrodomestici e altri beni di consumo. Lo vediamo costantemente con l’uso, a volte smisurato ed ingiustificato, degli amortizzatori sociali, lo vediamo con il costante ricatto che l’impenditoria italiana, capitanata dal modello Marchionne, che pretende liberismo quando si tratta di licenziare, ed è profondamente statalista quando pretende di ricevere contributi pubblici.
Quello che viviamo a Trecasali non è differente da ciò che succede nel nostro paese, da quello che leggiamo sui giornali, anche SADAM basa la propria politica industriale sulla massimizzazione dei contributi pubblici.
Si dice che con le direttive europee il settore è stato messo in forte difficoltà, vero e che il sostegno al settore, che è dirimente per la tenuta di tutta la filiera. Per queste motivazioni abbiamo assistito nei giorni scorsi alla deliberazione della conferenza interministeriale per la programmazione economica di un contributo al settore di 86 milioni di euro, milioni necessari a mantenere stabile il settore e non aggiungere emergenza sociale ad un paese che fatica ad uscire dalla crisi economica e i cui danni su masse di popolazione richiederanno molto tempo per essere assorbiti completamente. A fronte di questi finanziamenti, però, si sta chiedendo di avviare attività collaterali e complementari che nell’idea della proprietà di Eridania, darebbe stabilità al settore e, anzi, sviluppo economico e occupazionale: parliamo della centrale a biomassa.


2- IL RICATTO

Il metodo con cui, questi signori, pongono il tema della necessità, tutta loro, di costruire questa centrale, si basa su un ricatto che non è neanche tanto velato. L’abbiamo sentito in questa stanza. “SE COSTRUIAMO LA CENTRALE GARANTIAMO IL PROSEGUIMENTO DELLA PRODUZIONE E LA CREAZIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO STIMATI IN CIRCA DUECENTO UNITA’, DIVERSAMENTE NON SIAMO IN GRADO DI GARANTIRE IL FUTURO DELLO STABILIMENTO”.
Primo: ci si chiede di fare un sacrificio per salvaguardare i lavoratori, altrimenti loro non possono più garantire la loro occupazione, ma quando, questi signori, hanno messo i lavoratori in cassa integrazione, quando hanno cambiato cooperative di facchinaggio, quando hanno sostituito le imprese locali che lavoravano per loro, quando hanno licenziato dei lavoratori hanno chiesto il permesso? Ne hanno mai parlato con le istituzioni? Hanno mai avuto la preoccupazione per i propri lavoratori anche di fronte agli incidenti che hanno avuto pesanti conseguenze invalidanti per un ragazzo la scorsa estate?
Mi sembra che non siano nella condizione di praticare queste forme di ricatto; non sono, eticamente, nella posizione per potersi comportare in siffatto modo.; Se invito qualcuno a casa mia, ed il Comune è la casa di tutti noi, e questi vuole fare il padrone a casa mia ricattando e dettando regole proprie, il minimo che posso fare è cacciarlo di casa a pedate in culo ed invitarlo a ripresentarsi quando riconsidererà i propri modi.
Anche perché le esperienze di ciò che avviene altrove deve servirci e laddove si stanno facendo operazioni simili è chiaro che le volontà sono altre: cambiare il l’obiettivo produttivo delle aziende per fare altro, nel nostro caso utilizzare il ricatto dello stabilimento per fare la centrale, che è il vero business- due miliardi di euro di contributi pubblici in 15 anni- poi lo stabilimento, a risultato incassato, da loro, da SADAM, non servirà più sarà solo un peso da liberarsi il prima possibile.


3- SAVALGUARDARE IL SETTORE PER SALVAGUARDARE IL LAVORO


Lo stabilimento di San Quirico è patrimonio di tutto il territorio, di tutti noi. Non è questione privata. È anche nostro perché viviamo il nostro territorio e tanti di noi ne hanno e ne hanno avuto a che fare. Oggi tutti noi dobbiamo essere sensibili alla tutela e alla salvaguardia del settore bieticolo-saccarifero, ed il modo migliore per difendere la presenza della fabbrica passa attraverso la tutela del nostro territorio. Passa attraverso questo elemento perché la coltura della barbabietola e della sua trasformazione che si tutela il settore, non attraverso la coltivazione di altri prodotti destinati all’incenerimento. È banale come discorso ma a volte le verità solo gli elementi più ovvi. È questo che mi aspetto anche dalle organizzazioni sindacali e delle categorie di agricoltori. Oggi dobbiamo rilanciare e preservare la filiera, sostenendola da un punto di vista economico affinché gli agricoltori siano nella condizione di produrre la materia prima da trasformare. Quello che ci aspettiamo dalla politica sono iniziative tangibili volte a rafforzare il settore, la politica, il Governo nazionale in primis, non può scaricare le proprie responsabilità sui cittadini che si trovano di fronte al terribile dilemma di preservare il territorio o il lavoro. Oggi, con questa politica delle iniziative industriali collaterali, aumentano gli appetiti di imprenditori spregiudicati che con proposte bizzarre, che nulla hanno a che vedere con la vocazione industriale delle loro imprese, fanno accettare a comunità il tutto ed il contrario di tutto con lo spirito di evitare una crisi occupazionale; poi, una volta centrato il loro obiettivo di costruire la centrale a biomassa, il mantenimento della unità produttiva dello zucchero potrebbe essere solo un peso da liberarsi.



Noi, con questo comitato, vogliamo evitare questi disastrosi scenari sociali.



lunedì 29 novembre 2010

Ambiente e sviluppo.


E’ estremamente complicato provare a fare delle riflessioni su un tema che già nel titolo rischia di essere, quantomeno nella opinione comune, una dicotomia.
Si dice spesso che la preservazione dell’ambiente non si concili con una idea di sviluppo e che è nello sviluppo che si insidiano proprio gli elementi peggiori di sfruttamento del territorio. Da questo assunto sono emersi movimenti che hanno “zero” come suffisso all’obiettivo che vogliono raggiungere: “Rifiuti Zero”, “crescita zero” …
Sono giuste queste teorizzazioni?
A mio avviso il sentimento che si cela dietro quei movimenti risponde a elementi positivi di partecipazione e volontà di protagonismo di grossi strati di popolazione, però trovo che dietro la teorizzazione dello “zero”, a mio avviso, vi sono forti limiti di visione che limitano la proiezione della dimensione di massa di un movimento per il territorio.

Da anni si insegue quello che viene definito “sviluppo compatibile”. In cosa consisterebbe?
Di fatto questo concetto vorrebbe permettere uno sviluppo che non comprometta la vivibilità delle generazioni future, mantenendo un equilibri di sviluppo economico-industriale con un regime di equilibrio ambientale.
Si è cominciato a coniare questo termine negli anni ’80 del secolo scorso, anche in risposta ad una accelerazione della modernizzazione sfrenata che stava pregiudicando irreversibilmente l’ecosistema. Ricordiamo il tema del buco nella fascia d’ozono e il fenomeno delle piogge acide?
Col tempo, in particolare dopo la conferenza ambientale di Davor, si è convenzionalmente definito conclusa la fase dello sviluppo compatibile in quanto non praticabile. Si ritiene che la crescita, in quanto tale, determini sfruttamento dell’ambiente e conseguente disequilibrio, da cui il nuovo concetto di “decrescita”.
Credo sia centrale porre il tema del progresso e dell’utilizzo dei beni comuni nel rapporto di una giusta qualità di vita, oggi è tutto in termine consumistico e merceficatorio.
Lo sfruttamento dell’ambiente c’è da quando c’è il mondo; e i livelli di inquinamento è sempre stato proporzionale alla qualità della vita e questo è stato fino all’industrializzazione e al capitalismo sfrenato. Da l’XIX secolo l’equilibrio che reggeva sul binomio qualità/sfruttamento ambientale, si è rotto per una contraddizione palese che è quella del capitale-ambiente.
L’economia ha necessità di utilizzare il pianeta e le sue risorse in modo maggiore di quanto serva, questo solo per l’accumulo di ricchezze e per fini meramente economici.
Oggi è centrale porre il tema delle pianificazioni, stabilire strumenti che diano indicatori sul livello di vita e di progresso che si vuole ottenere e non abusare ulteriormente, oltre quel fine, del nostro ecosistema.
Provo a spiegarmi.
Un mondo senza inquinamento è un mondo morto. Su Marte non c’è inquinamento, in quanto non c’è vita e pertanto nessuno utilizza quell’ambiente per vivere e progredire. Sulla terra l’inquinamento c’era anche 2000 anni fa ma era direttamente proporzionale alle aspettative di vita e di qualità delle popolazioni che la vivevano. Oggi sul nostro pianeta, nonostante 2/3 del pianeta soffra la fame, non sia industrializzato e non abbia minime condizioni di vita accettabili, abbiamo compromesso equilibri e beni comuni.
Pensare alla decrescita sarebbe solo utopistico e anche, passatemelo, sbagliato; se oggi abbiamo lunghe aspettative di vita lo dobbiamo al progresso e alla ricerca di miglioramento della qualità di vita. L’unico modo per rompere questo meccanismo perverso sarebbe quello di vivere secondo i nostri bisogni, le nostre necessità. Se utilizzassimo le risorse e l’ambiente secondo un modello di vita non teso all’accumulo di ricchezza e di produzione, troveremmo il giusto equilibrio per vivere in pace e bene nella nostra terra e allora ogni intervento sarebbe realizzato, non con lo scopo di massimizzare resa e profitti, ma solo per una reale necessità.

La presentazione effettuata a Trecasali per la realizzazione di una centrale a biomassa da 60 Mw termici, mi induce a fare alcune riflessioni, anche a seguito della presentazione stessa e del dibattito che ne è scaturito.

A Trecasali, così come sta avvenendo in molti comuni del parmense e probabilmente in tutta Italia, una società, la Seco, di cui la proprietà di Eridania è azionista, sta facendo richiesta per realizzare una centrale elettrica a biomassa. Le motivazioni della necessità di questo impianto,enunciateci dai vertici aziendali, sono squisitamente di carattere economico e ci mancherebbe che non fosse così, considerato che una società privata pone l'obiettivo del guadagno per la realizzazione di un impianto di questa tipologia. La presentazione, condita sapientemente da elementi autocelebrativi sulle competenze acquisite in materia, sulla serietà aziendale e sulla eccellenza delle tecnologie, avevano, a mio avviso, elementi di debolezza nella presentazione che, a motivazione dei presentatori, erano dati dalla natura troppo preventiva della presentazione; come se tutti pensassero che un investimento economico di quella portata non sia suffragato da uno studio approfondito di fattibilità.

A noi cittadini non è stato fornito un dato sulle preoccupazioni e tensioni che la popolazione ha espresso nella articolazione del dibattito e non è assolutamente rassicurante enfatizzare le conoscenze acquisite come elemento qualificante, anzi sembra quasi voler nascondere delle verità dietro un mignolino.

Quello che ci si aspetta da una impresa seria sono risposte ai dubbi e alle tensione che una comunità legittimamente esprime; domande banali a cui non si udita risposta.

1 che beneficio ha il cittadino di Trecasali a fronte di un intervento così impattante?

2 essendoci molte richieste, quasi una per Comune, di queste tipologie di impianto e ognuna con un fabbisogno simile dello stesso combustibile a biomassa (legno), come pensano di garantirne l'approvvigionamento?

3 ipotizzando che la biomassa sarà trasportata per mobilità su gomma (a Trecasali non c'è ferrovia), è stato valutato l'impatto ambientale dell'aumento considerevole dei carichi di traffico?

4 i maggiori costi di manutenzione stradale determinati dall'aumento dello stress della rete viaria verrà sostenuto interamente dall'azienda, oppure pagheranno i cittadini?

5 le ceneri prodotte dal forno come e dove saranno smaltite? In quale sito?

Eridania, con il suo stabilimento di San Quirico, ha indubbiamente creato un beneficio sociale alla comunità trecasalese, nessuno lo mette in dubbio; è altrettanto vero, però, che il territorio ed i cittadini di Trecasali hanno creato benefici enormi alla azienda. Vi è un rapporto paritario in cui hanno dato e hanno preso, tanto. Chi abita a Trecasali conosce bene l'impatto della campagna saccarifera: traffico pesante, aria maleodorante, abbassamento della falda acquifera con la quasi impossibilità di utilizzare i pozzi privati delle abitazioni, impatto acustico, i mezzi pesanti che sporcano la viabilità determinando tutti gli anni dei sinistri stradali che mettendo a repentaglio l'incolumità dei cittadini; e la lista potrebbe proseguire. Credo che oggi i cittadini debbano essere liberi da ogni obbligo reverenziale verso l'azienda, per la scelta che l'amministrazione deve compiere e non è una scelta di poco conto.

Il nostro territorio è già pesantemente compromesso e i dati della qualità dell'aria, che si possono apprendere da ARPA, dimostrano che la vita in campagna (a Trecasali) non è più salubre che in città. Gli equilibri sono già minati e l'ambiente, che è un bene comune di tutti, una volta compromesso, diventa difficile recuperare la situazione e risanarlo.

Il nostro territorio è, tra l'altro, fonte di produzioni di eccellenza. Salumi, il Parmigiano-reggiano, la produzione agricola in genere; e bene ha fatto la Provincia di Parma per valorizzare e sostenere l'economia agricola del nostro territorio ma vano è lo sforzo, ed il Vice Presidente Ferrari sa quanto è difficile aiutare il mondo agricolo, per sostenere e potenziare sacche di economia sostenibile, come è quella agricola, se poi nei territori spuntano iniziative private impattanti come funghi.

Eridania utilizza come argomento che la realizzazione di questo impianto garantirà i livelli occupazionali anche per il futuro. Detta così sembra un argomento forte su cui difficilmente si può non essere d'accordo, ma che detto al contrario, ovvero i livelli occupazionali sono garantiti solo dalla realizzazione della centrale, suona come una minaccia che condiziona e falsa il merito del dibattito. Aspettavo che su questo le organizzazioni sindacali si esprimessero e che scindessero in modo inequivocabile due temi che non sono contrastanti: la difesa occupazionale e la difesa ambientale, anche perché se passasse la teoria che per creare posti di lavoro va bene tutto, finirebbe come in Ungheria, dove la produzione a tutti i costi ha devastato l'ecosistema del Danubio.

Questi temi sono centrali nella vita della nostra comunità e capisco il peso della responsabilità che attraversa la coscienza degli amministratori comunali, per questo credo che debbano avere la certezza di avere a fianco i cittadini in questa fase, conoscere perfettamente la volontà di chi li ha delegati ad amministrare, non con il mandato di autorizzare una centrale a biomassa, visto che non era materia di programma elettorale. Che si indica un referendum e decidano i trecasalesi, che sono i veri proprietari della realtà in cui vivono. Quale sia l'orientamento che emergerà, l'amministrazione sarà più forte nell'attuare le scelte che deve fare perché avrà la forza di una intera comunità che è e sarà protagonista ed artefice del proprio destino; per evitare gli errori che si sono compiuti in altri territorio e che hanno portato alla rottura tra cittadini e politica.

giovedì 26 marzo 2009

Crisi economica e società liquida


Oggi viviamo nel periodo di maggiore incertezza economica e sociale che la nostra società abbia mai vissuto probabilmente dal dopoguerra.
La crisi economica, di cui si legge quotidianamente su giornali, riviste, presente nei servizi televisivi, è ancor più palpabile nei rapporti sociali, dove nella gente è avvertibile la paura, l’ansia, la tensione.
Una crisi economica che sembrò arrivare come un meteorite dallo spazio, in modo dirompente ed imprevisto ma che, invece,nelle proprie ragioni d’esistenza, doveva essere prevista.
Il capitalismo mondiale, negli anni settanta, dopo la crisi da sovrapproduzione di quegli anni, decise che per riavviare una fase di ripresa tale da garantire masse di denaro sufficienti a soddisfare l’economia del “primo mondo”, decise di imprimere una svolta liberista nel mercato definendo lo stesso come unico strumento di regola per l’economia. Così si cominciò nel Regno Unito con le politiche di ultraliberismo della Thatcher, fatte di privatizzazioni, abbassamento delle tasse incondizionatamente, soppressione del welfare state; liberando, insomma, il mercato dalla presenza dello stato, considerato invadente e cappio per l’economia. E’ noto come l’onda lunga di quella visione politica abbia avuto riflessi negli Stati Uniti, con Reagan prima e Bush sr. successivamente, nonché in tutti i governi europei.
Questa liberalizzazione dalle regole in economia ha determinato successivamente un mutamento significativo del capitalismo mondiale, che da produttivo si converte, sostanzialmente, in finanziario, (la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia di mercato) avviando di fatto una fase transitoria da capitalismo produttivo a capitalismo finanziarizzato, il valore veniva meno. Infatti se è vero che “nessuna cosa può essere valore senza essere oggetto d'uso. Se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile, non conta come lavoro e non costituisce quindi valore" (K.Marx, “Il Capitale”), questa ristrutturazione dell’economia, nel momento in cui sarebbe divenuta dominante e avrebbe prevaricato la produzione in senso classico, avrebbe determinato “non valore” e quindi nessuna ricchezza. D’altro canto la finanziarizzazione dell’economia, ha necessariamente avuto come sbocco, per non disperdere troppa ricchezza, la società dei consumi favorita dalla facilità di accesso al credito e di un benessere diffuso formale e non sostanziale, in quanto basato sull’indebitamento delle famiglie.
Questa società consumistica ed individualista, ha sempre più perso una propria solidità diventando preda dell’individualismo e trasformandosi, di fatto, come la definisce il sociologo Zygmunt Bauman, in una società liquida, in altre parole una società fluida che di volta in volta deve adeguarsi alle attitudini del gruppo, altrimenti è esclusa. Questo è il prodotto della emancipazione dell’economia globale da vincoli nazionali ed ha un chiaro responsabile nelle politiche neoliberiste della destra.
Quale la risposta della parte maggiormente rilevante della sinistra, socialdemocratica o progressista? L’omologazione. Essa, la sinistra autodefinitasi “riformista”, si convinse che questo sarebbe stato un processo inarrestabile e pertanto andasse governato, si convinse che le masse ambiscono a consumare maggiormente e, per consentire l’adeguamento ad un pensiero unico neoliberista, rinunciarono al proprio portato ideale storico, così da essere le forze che maggiormente hanno avviato processi di liberalizzazione e privatizzazione dell’economia, smantellamento dello stato sociale e le forze che hanno eroso i diritti sul lavoro acquisiti con le lotte della fine degli anni ’60; questo sulla base che ognuno deve poter avere opportunità nel mercato, pertanto il mercato deve essere libero. Insomma l’abbandono di una qualsiasi minima visione di intervento dello stato in economia, di politiche keynesiane e la facilitazione dello smembramento di qualsiasi campo di alternativa ad un sistema economico, le cui deviazioni ed estremizzazioni, è la natura stessa che alimenta l’attuale crisi economica.
Lo spazio libero lasciato dalle socialdemocrazie, per una politica economica di alternativa al neoliberismo, non è stato occupato da altre forze che hanno preferito, vista la fase di riflusso dei movimenti novecenteschi come quello operaista, di avviare solo uno scontro di carattere ideologico-populista, con connotati, a volte, radical-chic.
Questa omologazione e inefficacia da parte delle forze che avrebbero dovuto contrastare la svolta neoliberista del mercato, hanno invece accelerato il processo di liquefazione della società e di disgregazione di una cultura collettiva di “classe” che aveva permesso, quantomeno in Europa, di affiancare all’economia di mercato grosse dosi di intervento pubblico ed un welfare state diffuso.
Questo stato di cose, quindi la crisi economica e la relativa crisi sociale che ne scaturirà appena gli effetti di una società basata su indebitamento da consumo si faranno più evidenti, non credo possa essere invertito facilmente, sostenendo l’economia con qualche tiepido intervento statale; è centrale ri-solidificare la società, anche se tornare ad una fase di pre-modernismo, cioè una fase precedente alla logica ossessivo-compulsiva della modernità, che ha avviato il neoliberismo e l’individualismo sociale di massa, credo sia assai complicato.
Questa crisi e le pesanti ripercussioni nell’economia mondiale, indurranno il capitalismo ad una nuova fase di propria ristrutturazione; ed è in questa fase che diventa centrale ricreare una coscienza collettiva che ponga le basi per una uscita da sinistra dall’attuale barbarie neoliberista. I margini ci sono: negli Stati Uniti, il presidente Barak Obama, pone lo stato come elemento centrale per ricreare legame comune e fiducia, comprende anch’esso che la società liquida non può uscire indenne da questa fase economico-sociale. Il pensiero “progressista” può avere una nuova prospettiva solo se la società degli individui è sconfitta per un benessere comune come elemento centrale del proprio benessere individuale. La necessità di una battaglia per le idee, che sappia sconfiggere il pensiero unico che ha liquefatto la società, e al contempo la creazione di una sinistra capace di scardinare le logiche politiche di destra che hanno determinato le condizioni di questa crisi, sono elementi centrali per una inversione di tendenza dalla fase attuale, disarticolando la cultura liquido-moderna della destra e avviando una fase di progresso collettivo.

domenica 22 marzo 2009

“Dio è morto, Marx è morto e neanche io mi sento molto bene”.


A sei mesi, ormai, dalle mie dimissioni da assessore provinciale, e con un quadro politico estremamente contorto, quantomeno nel nostro territorio provinciale, mi è venuta la voglia di riprendere “penna e calamaio” per condividere, così da semplice cittadino libero, alcune riflessioni.
Dicevo poc’anzi da libero cittadino, sì. Ho deciso, e questo non senza patimenti, si lasciare Rifondazione comunista. Ho lasciato quel partito in quanto ormai le organizzazioni partitiche, tutte, sono in una profonda crisi e oggi non hanno più quello slancio tale da essere realmente strumento utile alla società come mezzo di rappresentanza. Esse sono solamente contenitore, una “congrega” di ceto che pensa solo alla propria autoriproduzione ed autotutela, ovviamente con al proprio interno una feroce battaglia per bande dove “clan” differenti si contendono il potere interno e quindi la garanzia di sopravvivenza. E la gente fuori? E alla società chi ci pensa? Triste ma la risposta a questa domanda, francamente, non riesco a trovarla.
Il nostro territorio, poi, è stato estremamente generoso nel far emergere la natura vera delle attuali organizzazioni politiche, il caso di Fidenza è solo la punta di un iceberg che nasconde malesseri ovunque, primarie col dubbio del broglio, battaglia all’ultimo sangue nelle sezioni per scegliere quel sindaco piuttosto che l’altro.
La crisi economica, le cui conseguenze verranno pagate, e non principalmente ma oserei dire totalmente, dalle classi meno abbienti, dai lavoratori, dai piccoli artigiani – particolarmente quelli etero diretti che pagano anche le scelte industriali dei gruppi per cui lavorano e non hanno la tutela degli ammortizzatori sociali-, dai commercianti, dai pensionati, obbliga tutti coloro che oggi si vogliono prendere l’onere di governare (che sia un ente locale o legislativo poco importa), a tenere una barra fissa sul merito delle scelte e una chiara collocazione di campo ed ideale. Oggi la fase è cambiata e la società ha bisogno di risposte, e non di esercizi “filosofici” nei consigli comunali e provinciali, talvolta di pessimo spessore, se mi è consentito commentare.
Proprio perché la fase obbliga a tutti uno sforzo di merito e di elaborazione per aumentare realmente il salario differito della nostra popolazione, ovvero il salario fatto di servizi accessibili, di maggiori opportunità, di sostegno all’economia territoriale affinché si abbia una tenuta e la crisi da economica non si trasformi in crisi sociale; insomma oggi l’amministrare non è più un esercizio di applicazione di competenze attribuite, c’è da fare uno scatto in avanti e reinventarsi il modo di governare il territorio in uno scenario che non avevamo di certo calcolato, anche solo un anno addietro.
In questa momento avrei di certo auspicato che le forze, le persone, le associazioni, i movimenti “progressisti” cercassero una soluzione comune per incidere e dare una impronta progressista al governo dei territori, per cercare che il conservatorismo, anche quello di centrosinistra, non sia pensiero dominante.
Noto però, dalle informazioni di stampa, che questa mia esigenza non è già disattesa, o è stata colta parzialmente, dalla classe politica locale di sinistra.
Rifondazione, francamente ancora non l’ho capito, ma dopo avermi fatto dimettere ed essere uscita dalla maggioranza, dovrebbe collocarsi autonomamente, altrimenti c’ è da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio per tutto il gruppo dirigente.
I Comunisti italiani decidono di sostenere Bernazzoli ma candidandosi con la propria lista, con la presunzione di ottenere un risultato che li porti ad essere presenti in consiglio provinciale, spero di sbagliarmi ma rischiano di diventare i desaparecidos della Provincia di Parma.
Verdi, Sinistra democratica, Socialisti e alcune persone (cha tra l’altro stimo sul piano personale) decidono di dare vita ad una lista di “sinistra” che somiglia più ad un disperato tentativo per essere della partita in consiglio. Seppur abbia ammirato questo tentativo credo sia parziale e condizionato dall’assemblare il tutto ed il contrario di tutto con una discriminate che dovrebbe essere la collocazione ideale a sinistra, peccato poi che vi siano forze politiche che alle ultime elezioni comunali di Parma abbiano tenuto un atteggiamento ambiguo di apertura a destra del centrosinistra.
Il Partito democratico si commenta da solo, ogni giorno, con le proprie contraddizioni interne che rischiano di regalare alla destra anche importanti comuni della provincia.
Quello che ha reso, negli anni addietro, forte la sinistra ed i comunisti in particolare, è stata la creazione di una cultura diffusa di sinistra nella società. Un paese come l’Italia, dove il condizionamento del Vaticano è assai forte, una battaglia per le idee, una egemonia culturale, ha permesso che una forza di opposizione come il P.C.I. riuscisse ad incidere pesantemente nei processi politici. Non credo di dover ricordare i successi di questa politica, che aveva come perno il controllo del paese attraverso il governo delle autonomie locali.
Certo è che ampi strati di società, dagli intellettuali agli operai, avevano assorbito, quasi per osmosi, il programma politico dei comunisti. I comunisti erano senso comune nella società italiana. Tanto più che mai la Democrazia cristiana si sarebbe azzardata ad intaccare le conquiste sociali della sinistra italiana. Questo equilibrio di governi, quello culturale e quello politico, ha permesso al nostro paese un progresso continuo che si è trasformato in un benessere collettivo.
Oggi siamo di fronte al degrado. Siamo di fronte alla fase peggiore di attacco ai diritti delle persone e delle istituzioni. Siamo nel pieno della barbarie.
Che fare in questo quadro? Arduo dare una risposta.
Di certo credo che sia giunto il momento di tirare su una riga e ripartire daccapo. C’è da fare una grossa battaglia delle idee nella società affinché la cultura di sinistra torni, almeno nel nostro territorio, ad essere maggioranza. I margini li vedo ed anche il portato amministrativo di quella cultura, fatto di buon governo da parte delle giunte di sinistra dal dopoguerra ad oggi, permette di rivincere quella battaglia. Gli strumenti che possono rifare egemonia culturale progressista nella società non li conosco, e credo sia necessario avviare un “forum per le idee”, dove tutte le persone che condividono questo percorso di ricostruzione possano rimettere in moto un percorso che oggi vive la sua fase massima di riflusso.