E’ estremamente complicato provare a fare delle riflessioni su un tema che già nel titolo rischia di essere, quantomeno nella opinione comune, una dicotomia.
Si dice spesso che la preservazione dell’ambiente non si concili con una idea di sviluppo e che è nello sviluppo che si insidiano proprio gli elementi peggiori di sfruttamento del territorio. Da questo assunto sono emersi movimenti che hanno “zero” come suffisso all’obiettivo che vogliono raggiungere: “Rifiuti Zero”, “crescita zero” …
Sono giuste queste teorizzazioni?
A mio avviso il sentimento che si cela dietro quei movimenti risponde a elementi positivi di partecipazione e volontà di protagonismo di grossi strati di popolazione, però trovo che dietro la teorizzazione dello “zero”, a mio avviso, vi sono forti limiti di visione che limitano la proiezione della dimensione di massa di un movimento per il territorio.
Da anni si insegue quello che viene definito “sviluppo compatibile”. In cosa consisterebbe?
Di fatto questo concetto vorrebbe permettere uno sviluppo che non comprometta la vivibilità delle generazioni future, mantenendo un equilibri di sviluppo economico-industriale con un regime di equilibrio ambientale.
Si è cominciato a coniare questo termine negli anni ’80 del secolo scorso, anche in risposta ad una accelerazione della modernizzazione sfrenata che stava pregiudicando irreversibilmente l’ecosistema. Ricordiamo il tema del buco nella fascia d’ozono e il fenomeno delle piogge acide?
Col tempo, in particolare dopo la conferenza ambientale di Davor, si è convenzionalmente definito conclusa la fase dello sviluppo compatibile in quanto non praticabile. Si ritiene che la crescita, in quanto tale, determini sfruttamento dell’ambiente e conseguente disequilibrio, da cui il nuovo concetto di “decrescita”.
Credo sia centrale porre il tema del progresso e dell’utilizzo dei beni comuni nel rapporto di una giusta qualità di vita, oggi è tutto in termine consumistico e merceficatorio.
Lo sfruttamento dell’ambiente c’è da quando c’è il mondo; e i livelli di inquinamento è sempre stato proporzionale alla qualità della vita e questo è stato fino all’industrializzazione e al capitalismo sfrenato. Da l’XIX secolo l’equilibrio che reggeva sul binomio qualità/sfruttamento ambientale, si è rotto per una contraddizione palese che è quella del capitale-ambiente.
L’economia ha necessità di utilizzare il pianeta e le sue risorse in modo maggiore di quanto serva, questo solo per l’accumulo di ricchezze e per fini meramente economici.
Oggi è centrale porre il tema delle pianificazioni, stabilire strumenti che diano indicatori sul livello di vita e di progresso che si vuole ottenere e non abusare ulteriormente, oltre quel fine, del nostro ecosistema.
Provo a spiegarmi.
Un mondo senza inquinamento è un mondo morto. Su Marte non c’è inquinamento, in quanto non c’è vita e pertanto nessuno utilizza quell’ambiente per vivere e progredire. Sulla terra l’inquinamento c’era anche 2000 anni fa ma era direttamente proporzionale alle aspettative di vita e di qualità delle popolazioni che la vivevano. Oggi sul nostro pianeta, nonostante 2/3 del pianeta soffra la fame, non sia industrializzato e non abbia minime condizioni di vita accettabili, abbiamo compromesso equilibri e beni comuni.
Pensare alla decrescita sarebbe solo utopistico e anche, passatemelo, sbagliato; se oggi abbiamo lunghe aspettative di vita lo dobbiamo al progresso e alla ricerca di miglioramento della qualità di vita. L’unico modo per rompere questo meccanismo perverso sarebbe quello di vivere secondo i nostri bisogni, le nostre necessità. Se utilizzassimo le risorse e l’ambiente secondo un modello di vita non teso all’accumulo di ricchezza e di produzione, troveremmo il giusto equilibrio per vivere in pace e bene nella nostra terra e allora ogni intervento sarebbe realizzato, non con lo scopo di massimizzare resa e profitti, ma solo per una reale necessità.