Oggi viviamo nel periodo di maggiore incertezza economica e sociale che la nostra società abbia mai vissuto probabilmente dal dopoguerra.
La crisi economica, di cui si legge quotidianamente su giornali, riviste, presente nei servizi televisivi, è ancor più palpabile nei rapporti sociali, dove nella gente è avvertibile la paura, l’ansia, la tensione.
Una crisi economica che sembrò arrivare come un meteorite dallo spazio, in modo dirompente ed imprevisto ma che, invece,nelle proprie ragioni d’esistenza, doveva essere prevista.
Il capitalismo mondiale, negli anni settanta, dopo la crisi da sovrapproduzione di quegli anni, decise che per riavviare una fase di ripresa tale da garantire masse di denaro sufficienti a soddisfare l’economia del “primo mondo”, decise di imprimere una svolta liberista nel mercato definendo lo stesso come unico strumento di regola per l’economia. Così si cominciò nel Regno Unito con le politiche di ultraliberismo della Thatcher, fatte di privatizzazioni, abbassamento delle tasse incondizionatamente, soppressione del welfare state; liberando, insomma, il mercato dalla presenza dello stato, considerato invadente e cappio per l’economia. E’ noto come l’onda lunga di quella visione politica abbia avuto riflessi negli Stati Uniti, con Reagan prima e Bush sr. successivamente, nonché in tutti i governi europei.
Questa liberalizzazione dalle regole in economia ha determinato successivamente un mutamento significativo del capitalismo mondiale, che da produttivo si converte, sostanzialmente, in finanziario, (la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia di mercato) avviando di fatto una fase transitoria da capitalismo produttivo a capitalismo finanziarizzato, il valore veniva meno. Infatti se è vero che “nessuna cosa può essere valore senza essere oggetto d'uso. Se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile, non conta come lavoro e non costituisce quindi valore" (K.Marx, “Il Capitale”), questa ristrutturazione dell’economia, nel momento in cui sarebbe divenuta dominante e avrebbe prevaricato la produzione in senso classico, avrebbe determinato “non valore” e quindi nessuna ricchezza. D’altro canto la finanziarizzazione dell’economia, ha necessariamente avuto come sbocco, per non disperdere troppa ricchezza, la società dei consumi favorita dalla facilità di accesso al credito e di un benessere diffuso formale e non sostanziale, in quanto basato sull’indebitamento delle famiglie.
Questa società consumistica ed individualista, ha sempre più perso una propria solidità diventando preda dell’individualismo e trasformandosi, di fatto, come la definisce il sociologo Zygmunt Bauman, in una società liquida, in altre parole una società fluida che di volta in volta deve adeguarsi alle attitudini del gruppo, altrimenti è esclusa. Questo è il prodotto della emancipazione dell’economia globale da vincoli nazionali ed ha un chiaro responsabile nelle politiche neoliberiste della destra.
Quale la risposta della parte maggiormente rilevante della sinistra, socialdemocratica o progressista? L’omologazione. Essa, la sinistra autodefinitasi “riformista”, si convinse che questo sarebbe stato un processo inarrestabile e pertanto andasse governato, si convinse che le masse ambiscono a consumare maggiormente e, per consentire l’adeguamento ad un pensiero unico neoliberista, rinunciarono al proprio portato ideale storico, così da essere le forze che maggiormente hanno avviato processi di liberalizzazione e privatizzazione dell’economia, smantellamento dello stato sociale e le forze che hanno eroso i diritti sul lavoro acquisiti con le lotte della fine degli anni ’60; questo sulla base che ognuno deve poter avere opportunità nel mercato, pertanto il mercato deve essere libero. Insomma l’abbandono di una qualsiasi minima visione di intervento dello stato in economia, di politiche keynesiane e la facilitazione dello smembramento di qualsiasi campo di alternativa ad un sistema economico, le cui deviazioni ed estremizzazioni, è la natura stessa che alimenta l’attuale crisi economica.
Lo spazio libero lasciato dalle socialdemocrazie, per una politica economica di alternativa al neoliberismo, non è stato occupato da altre forze che hanno preferito, vista la fase di riflusso dei movimenti novecenteschi come quello operaista, di avviare solo uno scontro di carattere ideologico-populista, con connotati, a volte, radical-chic.
Questa omologazione e inefficacia da parte delle forze che avrebbero dovuto contrastare la svolta neoliberista del mercato, hanno invece accelerato il processo di liquefazione della società e di disgregazione di una cultura collettiva di “classe” che aveva permesso, quantomeno in Europa, di affiancare all’economia di mercato grosse dosi di intervento pubblico ed un welfare state diffuso.
Questo stato di cose, quindi la crisi economica e la relativa crisi sociale che ne scaturirà appena gli effetti di una società basata su indebitamento da consumo si faranno più evidenti, non credo possa essere invertito facilmente, sostenendo l’economia con qualche tiepido intervento statale; è centrale ri-solidificare la società, anche se tornare ad una fase di pre-modernismo, cioè una fase precedente alla logica ossessivo-compulsiva della modernità, che ha avviato il neoliberismo e l’individualismo sociale di massa, credo sia assai complicato.
Questa crisi e le pesanti ripercussioni nell’economia mondiale, indurranno il capitalismo ad una nuova fase di propria ristrutturazione; ed è in questa fase che diventa centrale ricreare una coscienza collettiva che ponga le basi per una uscita da sinistra dall’attuale barbarie neoliberista. I margini ci sono: negli Stati Uniti, il presidente Barak Obama, pone lo stato come elemento centrale per ricreare legame comune e fiducia, comprende anch’esso che la società liquida non può uscire indenne da questa fase economico-sociale. Il pensiero “progressista” può avere una nuova prospettiva solo se la società degli individui è sconfitta per un benessere comune come elemento centrale del proprio benessere individuale. La necessità di una battaglia per le idee, che sappia sconfiggere il pensiero unico che ha liquefatto la società, e al contempo la creazione di una sinistra capace di scardinare le logiche politiche di destra che hanno determinato le condizioni di questa crisi, sono elementi centrali per una inversione di tendenza dalla fase attuale, disarticolando la cultura liquido-moderna della destra e avviando una fase di progresso collettivo.
La crisi economica, di cui si legge quotidianamente su giornali, riviste, presente nei servizi televisivi, è ancor più palpabile nei rapporti sociali, dove nella gente è avvertibile la paura, l’ansia, la tensione.
Una crisi economica che sembrò arrivare come un meteorite dallo spazio, in modo dirompente ed imprevisto ma che, invece,nelle proprie ragioni d’esistenza, doveva essere prevista.
Il capitalismo mondiale, negli anni settanta, dopo la crisi da sovrapproduzione di quegli anni, decise che per riavviare una fase di ripresa tale da garantire masse di denaro sufficienti a soddisfare l’economia del “primo mondo”, decise di imprimere una svolta liberista nel mercato definendo lo stesso come unico strumento di regola per l’economia. Così si cominciò nel Regno Unito con le politiche di ultraliberismo della Thatcher, fatte di privatizzazioni, abbassamento delle tasse incondizionatamente, soppressione del welfare state; liberando, insomma, il mercato dalla presenza dello stato, considerato invadente e cappio per l’economia. E’ noto come l’onda lunga di quella visione politica abbia avuto riflessi negli Stati Uniti, con Reagan prima e Bush sr. successivamente, nonché in tutti i governi europei.
Questa liberalizzazione dalle regole in economia ha determinato successivamente un mutamento significativo del capitalismo mondiale, che da produttivo si converte, sostanzialmente, in finanziario, (la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia di mercato) avviando di fatto una fase transitoria da capitalismo produttivo a capitalismo finanziarizzato, il valore veniva meno. Infatti se è vero che “nessuna cosa può essere valore senza essere oggetto d'uso. Se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile, non conta come lavoro e non costituisce quindi valore" (K.Marx, “Il Capitale”), questa ristrutturazione dell’economia, nel momento in cui sarebbe divenuta dominante e avrebbe prevaricato la produzione in senso classico, avrebbe determinato “non valore” e quindi nessuna ricchezza. D’altro canto la finanziarizzazione dell’economia, ha necessariamente avuto come sbocco, per non disperdere troppa ricchezza, la società dei consumi favorita dalla facilità di accesso al credito e di un benessere diffuso formale e non sostanziale, in quanto basato sull’indebitamento delle famiglie.
Questa società consumistica ed individualista, ha sempre più perso una propria solidità diventando preda dell’individualismo e trasformandosi, di fatto, come la definisce il sociologo Zygmunt Bauman, in una società liquida, in altre parole una società fluida che di volta in volta deve adeguarsi alle attitudini del gruppo, altrimenti è esclusa. Questo è il prodotto della emancipazione dell’economia globale da vincoli nazionali ed ha un chiaro responsabile nelle politiche neoliberiste della destra.
Quale la risposta della parte maggiormente rilevante della sinistra, socialdemocratica o progressista? L’omologazione. Essa, la sinistra autodefinitasi “riformista”, si convinse che questo sarebbe stato un processo inarrestabile e pertanto andasse governato, si convinse che le masse ambiscono a consumare maggiormente e, per consentire l’adeguamento ad un pensiero unico neoliberista, rinunciarono al proprio portato ideale storico, così da essere le forze che maggiormente hanno avviato processi di liberalizzazione e privatizzazione dell’economia, smantellamento dello stato sociale e le forze che hanno eroso i diritti sul lavoro acquisiti con le lotte della fine degli anni ’60; questo sulla base che ognuno deve poter avere opportunità nel mercato, pertanto il mercato deve essere libero. Insomma l’abbandono di una qualsiasi minima visione di intervento dello stato in economia, di politiche keynesiane e la facilitazione dello smembramento di qualsiasi campo di alternativa ad un sistema economico, le cui deviazioni ed estremizzazioni, è la natura stessa che alimenta l’attuale crisi economica.
Lo spazio libero lasciato dalle socialdemocrazie, per una politica economica di alternativa al neoliberismo, non è stato occupato da altre forze che hanno preferito, vista la fase di riflusso dei movimenti novecenteschi come quello operaista, di avviare solo uno scontro di carattere ideologico-populista, con connotati, a volte, radical-chic.
Questa omologazione e inefficacia da parte delle forze che avrebbero dovuto contrastare la svolta neoliberista del mercato, hanno invece accelerato il processo di liquefazione della società e di disgregazione di una cultura collettiva di “classe” che aveva permesso, quantomeno in Europa, di affiancare all’economia di mercato grosse dosi di intervento pubblico ed un welfare state diffuso.
Questo stato di cose, quindi la crisi economica e la relativa crisi sociale che ne scaturirà appena gli effetti di una società basata su indebitamento da consumo si faranno più evidenti, non credo possa essere invertito facilmente, sostenendo l’economia con qualche tiepido intervento statale; è centrale ri-solidificare la società, anche se tornare ad una fase di pre-modernismo, cioè una fase precedente alla logica ossessivo-compulsiva della modernità, che ha avviato il neoliberismo e l’individualismo sociale di massa, credo sia assai complicato.
Questa crisi e le pesanti ripercussioni nell’economia mondiale, indurranno il capitalismo ad una nuova fase di propria ristrutturazione; ed è in questa fase che diventa centrale ricreare una coscienza collettiva che ponga le basi per una uscita da sinistra dall’attuale barbarie neoliberista. I margini ci sono: negli Stati Uniti, il presidente Barak Obama, pone lo stato come elemento centrale per ricreare legame comune e fiducia, comprende anch’esso che la società liquida non può uscire indenne da questa fase economico-sociale. Il pensiero “progressista” può avere una nuova prospettiva solo se la società degli individui è sconfitta per un benessere comune come elemento centrale del proprio benessere individuale. La necessità di una battaglia per le idee, che sappia sconfiggere il pensiero unico che ha liquefatto la società, e al contempo la creazione di una sinistra capace di scardinare le logiche politiche di destra che hanno determinato le condizioni di questa crisi, sono elementi centrali per una inversione di tendenza dalla fase attuale, disarticolando la cultura liquido-moderna della destra e avviando una fase di progresso collettivo.