giovedì 26 marzo 2009

Crisi economica e società liquida


Oggi viviamo nel periodo di maggiore incertezza economica e sociale che la nostra società abbia mai vissuto probabilmente dal dopoguerra.
La crisi economica, di cui si legge quotidianamente su giornali, riviste, presente nei servizi televisivi, è ancor più palpabile nei rapporti sociali, dove nella gente è avvertibile la paura, l’ansia, la tensione.
Una crisi economica che sembrò arrivare come un meteorite dallo spazio, in modo dirompente ed imprevisto ma che, invece,nelle proprie ragioni d’esistenza, doveva essere prevista.
Il capitalismo mondiale, negli anni settanta, dopo la crisi da sovrapproduzione di quegli anni, decise che per riavviare una fase di ripresa tale da garantire masse di denaro sufficienti a soddisfare l’economia del “primo mondo”, decise di imprimere una svolta liberista nel mercato definendo lo stesso come unico strumento di regola per l’economia. Così si cominciò nel Regno Unito con le politiche di ultraliberismo della Thatcher, fatte di privatizzazioni, abbassamento delle tasse incondizionatamente, soppressione del welfare state; liberando, insomma, il mercato dalla presenza dello stato, considerato invadente e cappio per l’economia. E’ noto come l’onda lunga di quella visione politica abbia avuto riflessi negli Stati Uniti, con Reagan prima e Bush sr. successivamente, nonché in tutti i governi europei.
Questa liberalizzazione dalle regole in economia ha determinato successivamente un mutamento significativo del capitalismo mondiale, che da produttivo si converte, sostanzialmente, in finanziario, (la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia di mercato) avviando di fatto una fase transitoria da capitalismo produttivo a capitalismo finanziarizzato, il valore veniva meno. Infatti se è vero che “nessuna cosa può essere valore senza essere oggetto d'uso. Se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile, non conta come lavoro e non costituisce quindi valore" (K.Marx, “Il Capitale”), questa ristrutturazione dell’economia, nel momento in cui sarebbe divenuta dominante e avrebbe prevaricato la produzione in senso classico, avrebbe determinato “non valore” e quindi nessuna ricchezza. D’altro canto la finanziarizzazione dell’economia, ha necessariamente avuto come sbocco, per non disperdere troppa ricchezza, la società dei consumi favorita dalla facilità di accesso al credito e di un benessere diffuso formale e non sostanziale, in quanto basato sull’indebitamento delle famiglie.
Questa società consumistica ed individualista, ha sempre più perso una propria solidità diventando preda dell’individualismo e trasformandosi, di fatto, come la definisce il sociologo Zygmunt Bauman, in una società liquida, in altre parole una società fluida che di volta in volta deve adeguarsi alle attitudini del gruppo, altrimenti è esclusa. Questo è il prodotto della emancipazione dell’economia globale da vincoli nazionali ed ha un chiaro responsabile nelle politiche neoliberiste della destra.
Quale la risposta della parte maggiormente rilevante della sinistra, socialdemocratica o progressista? L’omologazione. Essa, la sinistra autodefinitasi “riformista”, si convinse che questo sarebbe stato un processo inarrestabile e pertanto andasse governato, si convinse che le masse ambiscono a consumare maggiormente e, per consentire l’adeguamento ad un pensiero unico neoliberista, rinunciarono al proprio portato ideale storico, così da essere le forze che maggiormente hanno avviato processi di liberalizzazione e privatizzazione dell’economia, smantellamento dello stato sociale e le forze che hanno eroso i diritti sul lavoro acquisiti con le lotte della fine degli anni ’60; questo sulla base che ognuno deve poter avere opportunità nel mercato, pertanto il mercato deve essere libero. Insomma l’abbandono di una qualsiasi minima visione di intervento dello stato in economia, di politiche keynesiane e la facilitazione dello smembramento di qualsiasi campo di alternativa ad un sistema economico, le cui deviazioni ed estremizzazioni, è la natura stessa che alimenta l’attuale crisi economica.
Lo spazio libero lasciato dalle socialdemocrazie, per una politica economica di alternativa al neoliberismo, non è stato occupato da altre forze che hanno preferito, vista la fase di riflusso dei movimenti novecenteschi come quello operaista, di avviare solo uno scontro di carattere ideologico-populista, con connotati, a volte, radical-chic.
Questa omologazione e inefficacia da parte delle forze che avrebbero dovuto contrastare la svolta neoliberista del mercato, hanno invece accelerato il processo di liquefazione della società e di disgregazione di una cultura collettiva di “classe” che aveva permesso, quantomeno in Europa, di affiancare all’economia di mercato grosse dosi di intervento pubblico ed un welfare state diffuso.
Questo stato di cose, quindi la crisi economica e la relativa crisi sociale che ne scaturirà appena gli effetti di una società basata su indebitamento da consumo si faranno più evidenti, non credo possa essere invertito facilmente, sostenendo l’economia con qualche tiepido intervento statale; è centrale ri-solidificare la società, anche se tornare ad una fase di pre-modernismo, cioè una fase precedente alla logica ossessivo-compulsiva della modernità, che ha avviato il neoliberismo e l’individualismo sociale di massa, credo sia assai complicato.
Questa crisi e le pesanti ripercussioni nell’economia mondiale, indurranno il capitalismo ad una nuova fase di propria ristrutturazione; ed è in questa fase che diventa centrale ricreare una coscienza collettiva che ponga le basi per una uscita da sinistra dall’attuale barbarie neoliberista. I margini ci sono: negli Stati Uniti, il presidente Barak Obama, pone lo stato come elemento centrale per ricreare legame comune e fiducia, comprende anch’esso che la società liquida non può uscire indenne da questa fase economico-sociale. Il pensiero “progressista” può avere una nuova prospettiva solo se la società degli individui è sconfitta per un benessere comune come elemento centrale del proprio benessere individuale. La necessità di una battaglia per le idee, che sappia sconfiggere il pensiero unico che ha liquefatto la società, e al contempo la creazione di una sinistra capace di scardinare le logiche politiche di destra che hanno determinato le condizioni di questa crisi, sono elementi centrali per una inversione di tendenza dalla fase attuale, disarticolando la cultura liquido-moderna della destra e avviando una fase di progresso collettivo.

domenica 22 marzo 2009

“Dio è morto, Marx è morto e neanche io mi sento molto bene”.


A sei mesi, ormai, dalle mie dimissioni da assessore provinciale, e con un quadro politico estremamente contorto, quantomeno nel nostro territorio provinciale, mi è venuta la voglia di riprendere “penna e calamaio” per condividere, così da semplice cittadino libero, alcune riflessioni.
Dicevo poc’anzi da libero cittadino, sì. Ho deciso, e questo non senza patimenti, si lasciare Rifondazione comunista. Ho lasciato quel partito in quanto ormai le organizzazioni partitiche, tutte, sono in una profonda crisi e oggi non hanno più quello slancio tale da essere realmente strumento utile alla società come mezzo di rappresentanza. Esse sono solamente contenitore, una “congrega” di ceto che pensa solo alla propria autoriproduzione ed autotutela, ovviamente con al proprio interno una feroce battaglia per bande dove “clan” differenti si contendono il potere interno e quindi la garanzia di sopravvivenza. E la gente fuori? E alla società chi ci pensa? Triste ma la risposta a questa domanda, francamente, non riesco a trovarla.
Il nostro territorio, poi, è stato estremamente generoso nel far emergere la natura vera delle attuali organizzazioni politiche, il caso di Fidenza è solo la punta di un iceberg che nasconde malesseri ovunque, primarie col dubbio del broglio, battaglia all’ultimo sangue nelle sezioni per scegliere quel sindaco piuttosto che l’altro.
La crisi economica, le cui conseguenze verranno pagate, e non principalmente ma oserei dire totalmente, dalle classi meno abbienti, dai lavoratori, dai piccoli artigiani – particolarmente quelli etero diretti che pagano anche le scelte industriali dei gruppi per cui lavorano e non hanno la tutela degli ammortizzatori sociali-, dai commercianti, dai pensionati, obbliga tutti coloro che oggi si vogliono prendere l’onere di governare (che sia un ente locale o legislativo poco importa), a tenere una barra fissa sul merito delle scelte e una chiara collocazione di campo ed ideale. Oggi la fase è cambiata e la società ha bisogno di risposte, e non di esercizi “filosofici” nei consigli comunali e provinciali, talvolta di pessimo spessore, se mi è consentito commentare.
Proprio perché la fase obbliga a tutti uno sforzo di merito e di elaborazione per aumentare realmente il salario differito della nostra popolazione, ovvero il salario fatto di servizi accessibili, di maggiori opportunità, di sostegno all’economia territoriale affinché si abbia una tenuta e la crisi da economica non si trasformi in crisi sociale; insomma oggi l’amministrare non è più un esercizio di applicazione di competenze attribuite, c’è da fare uno scatto in avanti e reinventarsi il modo di governare il territorio in uno scenario che non avevamo di certo calcolato, anche solo un anno addietro.
In questa momento avrei di certo auspicato che le forze, le persone, le associazioni, i movimenti “progressisti” cercassero una soluzione comune per incidere e dare una impronta progressista al governo dei territori, per cercare che il conservatorismo, anche quello di centrosinistra, non sia pensiero dominante.
Noto però, dalle informazioni di stampa, che questa mia esigenza non è già disattesa, o è stata colta parzialmente, dalla classe politica locale di sinistra.
Rifondazione, francamente ancora non l’ho capito, ma dopo avermi fatto dimettere ed essere uscita dalla maggioranza, dovrebbe collocarsi autonomamente, altrimenti c’ è da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio per tutto il gruppo dirigente.
I Comunisti italiani decidono di sostenere Bernazzoli ma candidandosi con la propria lista, con la presunzione di ottenere un risultato che li porti ad essere presenti in consiglio provinciale, spero di sbagliarmi ma rischiano di diventare i desaparecidos della Provincia di Parma.
Verdi, Sinistra democratica, Socialisti e alcune persone (cha tra l’altro stimo sul piano personale) decidono di dare vita ad una lista di “sinistra” che somiglia più ad un disperato tentativo per essere della partita in consiglio. Seppur abbia ammirato questo tentativo credo sia parziale e condizionato dall’assemblare il tutto ed il contrario di tutto con una discriminate che dovrebbe essere la collocazione ideale a sinistra, peccato poi che vi siano forze politiche che alle ultime elezioni comunali di Parma abbiano tenuto un atteggiamento ambiguo di apertura a destra del centrosinistra.
Il Partito democratico si commenta da solo, ogni giorno, con le proprie contraddizioni interne che rischiano di regalare alla destra anche importanti comuni della provincia.
Quello che ha reso, negli anni addietro, forte la sinistra ed i comunisti in particolare, è stata la creazione di una cultura diffusa di sinistra nella società. Un paese come l’Italia, dove il condizionamento del Vaticano è assai forte, una battaglia per le idee, una egemonia culturale, ha permesso che una forza di opposizione come il P.C.I. riuscisse ad incidere pesantemente nei processi politici. Non credo di dover ricordare i successi di questa politica, che aveva come perno il controllo del paese attraverso il governo delle autonomie locali.
Certo è che ampi strati di società, dagli intellettuali agli operai, avevano assorbito, quasi per osmosi, il programma politico dei comunisti. I comunisti erano senso comune nella società italiana. Tanto più che mai la Democrazia cristiana si sarebbe azzardata ad intaccare le conquiste sociali della sinistra italiana. Questo equilibrio di governi, quello culturale e quello politico, ha permesso al nostro paese un progresso continuo che si è trasformato in un benessere collettivo.
Oggi siamo di fronte al degrado. Siamo di fronte alla fase peggiore di attacco ai diritti delle persone e delle istituzioni. Siamo nel pieno della barbarie.
Che fare in questo quadro? Arduo dare una risposta.
Di certo credo che sia giunto il momento di tirare su una riga e ripartire daccapo. C’è da fare una grossa battaglia delle idee nella società affinché la cultura di sinistra torni, almeno nel nostro territorio, ad essere maggioranza. I margini li vedo ed anche il portato amministrativo di quella cultura, fatto di buon governo da parte delle giunte di sinistra dal dopoguerra ad oggi, permette di rivincere quella battaglia. Gli strumenti che possono rifare egemonia culturale progressista nella società non li conosco, e credo sia necessario avviare un “forum per le idee”, dove tutte le persone che condividono questo percorso di ricostruzione possano rimettere in moto un percorso che oggi vive la sua fase massima di riflusso.

Non è una questione privata, le mie dimissioni da Rifondazione comunista


“Ma c'è anche il massimalista che non è nel Partito massimalista, e che può essere invece nel Partito comunista. Egli è intransigente, e non opportunista. Ma anche egli crede che sia inutile muoversi e lottare giorno per giorno; egli attende solo il grande giorno. Le masse - egli dice - non possono non venire a noi, perché la situazione oggettiva le spinge verso la rivoluzione. Dunque attendiamole, senza tante storie di manovre tattiche e simili espedienti. Questo, per noi, è massimalismo, tale e quale come quello del Partito massimalista.
Il compagno Lenin ci ha insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, che è potente, che ha molti mezzi e riserve a sua disposizione, noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile, sia pure incerto, oscillante e provvisorio. Ci ha insegnato che nella guerra degli eserciti, non può raggiungersi il fine strategico, che è la distruzione del nemico e l'occupazione del suo territorio, senza aver prima raggiunto una serie di obiettivi tattici tendenti a disgregare il nemico prima di affrontarlo in campo.
Tutto il periodo prerivoluzionario si presenta come un'attività prevalentemente tattica, rivolta ad acquistare nuovi alleati al proletariato, a disgregare l'apparato organizzativo di offesa e di difesa del nemico, a rilevare e ad esaurire le sue riserve.
Non tener conto di questo insegnamento di Lenin, o tenerne conto solo teoricamente, ma senza metterlo in pratica, senza farlo diventare azione quotidiana, significa essere massimalisti, cioè pronunziare grandi frasi rivoluzionarie, ma essere incapaci a muovere un passo nella via della rivoluzione.”
Antonio Gramsci



Caro Walter,
con la presente sono a comunicarti che ho deciso di non rinnovare più la mia adesione a Rifondazione comunista. Ti faccio questa mia comunicazione per iscritto in quanto il ruolo che ho svolto all’interno del Partito e gli incarichi dirigenti che ricopro tuttora, obbligano, da parte mia, un passaggio formale al segretario, se non altro per adempiere i doveri statutari e provvedere alle sostituzioni del caso.
Walter, sono iscritto a questo partito dal 1992, e qui io ci sono cresciuto: politicamente ed umanamente. Ho visto passare praticamente tutti i segretari provinciali di questa federazione: Perazzi, Novari, Folli, Benvenuti, Ruzzi, De Munari (che nonostante non ne fosse mai stata formalizzata l’elezione fu un facente funzioni), Cutaia (per ben due volte), Testa, Tamani, Conte, Piro e te. Ho visto tutte le scissioni che questo travagliato partito ha avuto. Quelle locali: di Palazzino e Gambetta, e quelle nazionali: di Crucianelli e Garavini, quella dei Comunisti italiani, quella di Ferrando, quella di Turigliatto e per finire quella di Vendola. Particolarmente sofferta fu quella dei “cossuttiani” dove occupammo la federazione in quanto vi fu la reale preoccupazione che ci scippassero la sede, vista l’uscita praticamente unanime del gruppo dirigente locale. Ho visto gente entrare ed uscire da questo partito, come se l’ingresso avesse le porte girevoli. Ho visto un partito passare da quasi tremila iscritti ai desolanti numeri attuali. Ho avuto modo di conoscere e prendere esempio da compagni come Jolanda Musci, di cui ricordo i severi rimproveri e le sollecitazioni e il suo proverbiale: “compagno hai una sigaretta?” prima di ogni comitato federale, e da Teodoro Bigi che nonostante l’età, con una tempra invidiabile, incontravo sempre in centro città a volantinare, spesso in solitudine, documenti autoprodotti in difesa della costituzione e della democrazia e, salutandolo, mi prendevo la mia parte di foglietti e ne stavo un po’ in compagnia per volantinare ed ascoltarlo.
Come puoi immaginare, anche dalla breve descrizione che ti ho fatto, io il partito l’ho vissuto, e in modo profondo, non come un semplice esercizio di rinnovo della tessera. Ho vissuto il partito in quanto volevo che un patrimonio di idee, di militanza, di modello di società, quale era il Partito comunista italiano, non andasse perduto nel ricordo di chi ne fece parte e ne fu protagonista. Non poteva e non doveva finire con un atto di autoscioglimento che aveva la presunzione di dichiarare finite le ragioni storiche su cui si basa la necessità di avere uno strumento utile per la nostra classe di riferimento: il partito comunista.
Oggi però mi sono fatto la convinzione che la scommessa per rifondare il PCI, anche su basi nuove, sia persa.
È persa in quanto oggi Rifondazione non ha un legame con le masse e si è arroccato su posizioni autoreferenziali e di setta. Ne è la prova un volantinaggio davanti l’azienda in cui lavoro dove, lo può testimoniare anche Samuele, invece di ascoltare degli operai che stavano per essere collocati in cassa integrazione, si pensava a vendere le copie di una nota rivista di una corrente del Partito. Il giorno seguente sono stato sbeffeggiato dai miei compagni di lavoro: “ invece di ascoltare i nostri problemi ci volete vendere il giornaletto” paragonando il PRC ad una nota setta che di porta in porta offre i propri giornalini.
Non ti nascondo che anche alcune scelte, sul piano democratico, mi hanno spinto a prendere questa decisione: le assemblee degli iscritti convocate telefonicamente, che mi vengono fatte tre giorni prima di tale riunione e senza convocare la stragrande maggioranza degli iscritti, ma sono quelli che hanno un orientamento favorevole alla tua maggioranza; le convocazioni del comitato politico federale che puntualmente non mi arrivano e che di cui vengo a conoscenza per sentito dire (tranne le ultime due di cui ho ricevuto le mail di Davolo); il richiamo formale del collegio di garanzia (su carta intestata e con firma: il Presidente del Collegio di Garanzia), votato a minoranza (2 voti su 5 membri e comunque su 4 presenti) in qui mi si rimprovera di avere avuto, di sovente, un atteggiamento che disturba il regolare svolgimento dei lavori del CPF e che è stata la causa della reazione di un tuo membro della segreteria, che a momenti mi aggrediva fisicamente.
Siamo di fronte ad un partito senza regole e senza merito politico, schiavo del massimalismo trozkista, che ha fatto una vera egemonia politica nella linea di Rifondazione, e delle sensazioni a pancia del gruppo dirigente.
Credimi, pensavo seriamente che la battaglia politica nel partito fosse sufficiente a modificarne gli orientamenti, in un sano confronto fra posizioni differenti, ma gli elementi di cui sopra evidenziano che quella possibilità, quantomeno a me, non è garantita.
Non ti nascondo che in me vi è anche un dissenso profondo nel merito delle scelte che si sono compiute per le prossime amministrative, ovvero la scelta isolazionista del Partito, prim’ancora che dal centrosinistra dal resto della sinistra che ha pubblicamente preso le distanze dalle posizioni del PRC. Scelte prima annunciate a mezzo dichiarazione pubblica ma non mi è dato sapere se poi sono state ratificate da un qualche organo, poco m’importa oramai. Non posso sollevare anche come le motivazioni che sono state adottate per tale scelta, particolarmente una critica alla mobilità, non abbiano tenuto in considerazione (o chissà forse le tenevano ben in considerazione) che quei settori della Provincia li gestiva il Partito! (forse non si rammenta che l’assessore alla mobilità collettiva era il sottoscritto come dire: la Provincia ha fallito laddove abbiamo gestito noi!), e che tra l’altro sono gli aspetti maggiormente apprezzati dalla cittadinanza e basta andare a prendere un caffé in qualsiasi bar della provincia per averne una conferma.
Sono troppi, ormai, gli elementi che mi distinguono da questa Rifondazione comunista e credimi sono altrettanto convinto di non aver mai cambiato il “mio essere” in questi anni di militanza, ma avverto invece cambiamenti nel Prc che mi portano a fare una scelta che mai avrei creduto di fare nella mia vita: quella di lasciare. Troppi sono stati gli inviti, velati o palesi, che mi sono stati fatti ad andarmene e quindi vi lascio discutere in pace, senza recar disturbo. Io se posso, e con la pochezza della mia azione, proverò, fuori nella società, a convincere qualcuno che la pensa diversamente da me a comprendere le ragioni degli sfruttati e combattere per i loro diritti, che sono pure i miei.
Ti lascio con una esortazione a non strumentalizzare questo mio gesto: io non vado da nessuna parte; non andare da nessuna parte, però, non vuol dire non schierarsi, non esprimere le proprie idee; come diceva, sempre Gramsci -e t’invito a leggerlo un po’-, “odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
La mia militanza invece, qualora fosse gradita, d’ora in poi la praticherò nell’ANPI, a San Secondo, dove sono iscritto.
Un saluto,
Filippo.